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Ortopedia e Ospedale di Savigliano

Le origini dell’ Ospedale di Savigliano si perdono nella notte dei tempi e risalgono al 1200. Nel corso degli anni viene trasferito di sede numerose volte. La collocazione definitiva sarà nell’ edificio realizzato tra il 1703 ed il 1710 da Antonio Bertola avvocato e ingegnere.  Ancora oggi è leggibile la scritta Ospedale Maggiore sopra al portale ligneo finemente lavorato dell’ ingresso principale dell’ Ospedale . L’ edificio viene rimaneggiato più volte nel corso dei secoli. Tra la fine degli anni 60 e la prima metà degli anni 70 subisce la trasformazione più importante: viene creata ex novo  la struttura che costituisce il nuovo Ospedale di Savigliano.

Veduta Ospedale
Il nuovo ospedale all’ interno del vecchio complesso.

Il complesso viene edificato all’ interno del perimetro del vecchio edificio e rimarrà  immodificato sino agli anni 90 circa quando inizieranno i lavori per la costruzione del nuovo blocco operatorio. Dureranno scandalosamente più di 20 anni senza che nessuno accerti mai le cause del ritardo e le responsabilità. Il 24 maggio 2012 avviene la inaugurazione alla presenza dell’ allora Presidente della Regione On. Cota. Non è nostra intenzione ricostruire la storia ufficiale dell’ Ospedale di Savigliano per la quale si rinvia ad altri siti. Il nostro obiettivo è quello di focalizzare l’ attenzione sui principali eventi e sulle persone. Sarà infatti la sinergia tra questi due elementi a determinare lo sviluppo e la fama dell’ Ospedale. Si possono dunque individuare due fasi di sviluppo. La prima (1969-1975) è caratterizzata dalla ricerca delle risorse finanziarie necessarie per la costruzione del nuovo Ospedale. Gli amministratori dell’ epoca erano il Dr. Sergio Cravero e l’ architetto Oreste Garzino poi Sindaco di Savigliano. Furono essi a reperirle alienando una parte consistente del patrimonio terriero dell’ Ospedale, lascito di benefattori. La costruzione verrà realizzata nel corso di pochi anni. Nel contempo per renderla operativa, fecero una brillante operazione di marketing , come si direbbe oggi, assumendo i migliori professionisti .

Ospedale Savigliano
Il nuovo edificio dell’ Ospedale

Essi costituiranno il nucleo storico che farà la  fortuna dell’ Ospedale di Savigliano. Ricordiamo in ordine alfabetico in quella che potremo definire l’ epopea dei Prof: il Prof. Sergio Barbero Primario di Pediatria, il Dr. Bruno Bellan Primario di Oculistica, il Prof. Settimio Chiarle Primario di Radiologia, il Prof. Francesco Cravarezza Primario di Ostetricia e Ginecologia, il Prof. Francesco Fioccardi Primario di Urologia, Il Prof. Felice Fruttero Primario Otorinolaringoiatra, il Prof. Domenico Gullino Primario di Chirurgia, il Prof. Piergiorgio Pagano Primario del Laboratorio Analisi e sindaco per svariati anni della città, la Prof.ssa Lucia Piazza Primario di Anestesia e Rianimazione , il Prof. Luigi Resegotti Primario di Medicina, il Prof. Savino Ruà Anatomo Patologo . In quel particolare contesto culturale e scientifico nasce e si sviluppa l’ Ortopedia per merito del Prof. Giacomo Massè . In pochi anni l’ Ortopedia diventerà una delle realtà più dinamiche e all’ avanguardia . Sarà tra i primi centri in Italia ad impiantare protesi di anca e di ginocchio. Nella seconda fase di sviluppo (1976-2015) si consolidano le varie realtà specialistiche ed altre si aggiungono come la Neurologia diretta dal Dr. Andrea Cognazzo. Nello stesso tempo poco per volta escono di scena i personaggi storici a cui subentrano in gran parte o gli allievi o altri professionisti esterni. Nel settembre 2000 il Prof. Giacomo Massè va in pensione e a lui succede il suo allievo Dr. Francesco Leonardi che guiderà l’ Ortopedia sino a marzo del 2015 . Manterrà e migliorerà l’ alto livello quantitativo e qualitativo pur nelle turbolenze di una società in rapida trasformazione. La realtà sanitaria si è anch’essa  profondamente trasformata nel corso degli ultimi venti anni più che nei primi cento e non sempre in meglio. Alla classica differenziazione gerarchica fra Primario , Aiuto e Assistente subentra quella di Dirigente Unico e di Direttore di Struttura Complessa di nomina quinquennale. Tutte le figure professionali vengono livellate. Il Primario non più “padre-padrone” e senza la garanzia di rinnovo del contratto si trova nell’ imbarazzante  doppio ruolo di “professional” e “gestional”.  Diventa facilmente ricattabile, stante la discrezionalità dell’ Amministrazione di rinnovare o meno l’ incarico,  soccombe alle decisioni “creative” dei vertici e alla mole spropositata di incombenze burocratiche.  Scompare nella pratica clinica il “giro visita” collegiale e con esso l’ affiancamento tra giovani e anziani.   Lo spirito di squadra che tanto era stato forte nell’ esperienza Saviglianese è sostituito dalla competizione ad accaparrarsi il paziente. Aumenta l’ improvvisazione e l’ autoreferenzialità dei singoli professionisti pur non potendosi disconoscere qualche raro caso di eccellenza.  Analoghi mutamenti avvengono a livello amministrativo. L ‘Amministrazione dell’ Ospedale negli anni passati aveva una conduzione e  gestione di tipo familiare.  Era attenta alle istanze dei professionisti e del territorio e agiva in modo efficace e immediato. Le formalità burocratiche erano ridotte all’ essenziale  e spesso venivano semplificate nel loro iter burocratico.  La conseguenza diretta era la rapida soluzione dei problemi. A questo tipo di gestione, indubbiamente gravata da una certa qual dose di sano campanilismo subentra la gestione “manageriale”.   Travisando lo spirito della riforma sanitaria finisce per  piegarsi ai voleri della malapolitica o del singolo potentato più che soddisfare  i bisogni di salute della popolazione. I rapporti tra le varie figure professionali diventano freddi , impersonali talora improntati a una malcelata invidia nei confronti dei medici. La burocrazia cresce in modo esponenziale e i tempi per le pratiche diventano geologici. Alla figura del Presidente dell’ Ospedale subentra quella dell’ Amministratore Straordinario ed infine del Direttore Generale. Gli Ospedali perdono la loro centralità e diventano parte del territorio, prima delle USL (Unità Sanitaria Locale) poi delle USSL (Unità Socio Sanitaria Locale) ed infine della ASL (Azienda Sanitaria Locale).   La riduzione del deficit di bilancio diventa l’unica e cronica ossessione dei Direttori Generali.  Si  sopprimono prevalentemente  strutture complesse di area medica gravandone  della  responsabilità  i sopravvissuti senza  il corrispettivo trattamento economico.  Dall’ altra inspiegabilmente rimane immodificato se non aumentato il numero di Direttori Sanitari di Presidio, di Ospedale, di Azienda, di Sovraintendenti Sanitari, di Direttori Amministrativi, di Direttori di Strutture Complesse e di UONA (Unità Operative Non Autonome) di area non sanitaria sulla cui reale efficacia operativa sorgono non poche perplessità. A dirigere le Aziende, salvo le rare e lodevoli eccezioni, i politici scelgono funzionari amministrativi o sanitari il più delle volte mediocri ma viceversa dotati , al bisogno, di capacità eccezionali di mutazione del colore politico ,  da far impallidire un camaleonte. Pur in questo drammatico e caotico contesto il Dr. Leonardi ha retto l’ Ortopedia per 15 anni . Ha mantenuto inalterato il numero dei posti letto , anche a fronte di qualche maldestro tentativo di ridimensionamento. Ha proseguito, con non poche difficoltà, l’ opera del suo predecessore assicurando continuità terapeutica, assistenza e prestazioni di alto livello per tutti. Il volume dell’ attività ha avuto costantemente un trend positivo anche nei settori superspecialistici. Lascia il suo posto con la soddisfazione di vedere che sino a quando la ha diretta , l’ Ortopedia di Savigliano è stata espressione di alta professionalità ed eccellenza anche aldilà dei confini nazionali.  Purtroppo oggi in ogni  campo imperversano burocrazia e forze disgregatrici che portano solo a un lento ma inesorabile declino. L’ Ospedale di Savigliano non ne risulta immune a meno che non vada in controtendenza. L’ Ortopedia ne seguirà  le sorti, essendo ad esso indissolubilmente legata , come dicevamo , sin dall’ esordio . Dopo più di quarantacinque anni si concluderà il suo ciclo.  A dirigerla non potrà più essere nessuno dell’ originario team di professionisti che l’ ha resa grande. Resta comunque da dire che senza l’ abnegazione, la fatica e l’ opera di tanti operatori della Sanità  fedeli e sinceri servitori delle istituzioni che si sono succeduti nel corso degli anni, l’ Ospedale e l’ Ortopedia di Savigliano non sarebbero stati quello che sono stati.

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Fondatore: Giacomo Massè (1969-2000)

Giacomo Massè nasce a Cuorgnè il 1 agosto del 1933 e diventa  medico, come lui riporta in un intervista rilasciata nel 2005  nonostante  la sua passione iniziale per la matematica e la fisica. Si iscrive comunque a Medicina e frequenta a Torino come  allievo interno la Divisione di Traumatologia dell’ Ospedale S. Giovanni Battista dove si interessa in modo particolare alla Chirurgia Plastica Traumatologica . Esperienza questa che lascerà un segno indelebile nella sua formazione professionale.  Sarà infatti un chirurgo  attento al rispetto dei tessuti e della cute  e trasmetterà questo  insegnamento ai suoi allievi. Laureatosi ed espletato il servizio militare diventa assistente INAIL presso la Clinica Ortopedica di Torino dove consegue anche la libera docenza. Frequenta  a Lione  il  Prof. Albert Trillat maestro indiscusso della chirurgia del ginocchio.   A Berna segue le tecniche del Prof. Maurice Muller ,  ortopedico di fama  mondiale  (sarà insignito nel corso della sua lunga vita di ben 12 lauree honoris causa!). L’ illustre chirurgo svizzero  , ideatore della protesi d’ anca che porta il suo nome  fonderà con altri chirurghi l’ Associazione per lo Studio delle Osteosintesi (AO). Avrà sviluppo mondiale e sarà per tantissimi ortopedici il Vangelo del trattamento chirurgico delle fratture. In campo Ortopedico e traumatologico, Massè perfeziona le sue conoscenze anche con il Prof. Robert Schneider ideatore tra l’ altro dell’ omonimo anello di rinforzo acetabolare  Queste tre esperienze segneranno profondamente la sua formazione professionale e saranno i capisaldi su cui imposterà il suo futuro lavoro di Primario. Nel 1969  vince  il  concorso da Primario a Savigliano in quello che lui definirà schernendosi  “un piccolo ospedale disperso nella campagna del cuneese”.

Spinto evidentemente da spirito missionario, sorretto da indubbia tenacia, da consapevolezza delle proprie capacità e dall’ incoscienza mista a coraggio tipica dei giovani, costruisce poco a poco la “sua” Divisione di  Ortopedia. Era l’ epoca in cui l ‘ Ortopedia era la sorella povera della Chirurgia Generale. Chirurgo abile , intraprendente, mai spregiudicato, di intelligenza intuitiva e pratica era dotato di notevole ascendente sui pazienti e di un fine fiuto nella scelta dei propri collaboratori. Dopo l’ iniziale periodo in cui espleta la sua attività chirurgica aiutato occasionalmente dai chirurghi generali , ha come stretto collaboratore il Dr. Fabio Mohovich , futuro Primario della Divisione di Ortopedia di Fossano con cui lavora sino al 1973. Nel 1970 impianta la prima protesi d’ anca. Dopo un alternarsi di vari assistenti, costruisce  a partire dal 1974  la Divisione  destinata a durare fino al 1993.  Essa risulta costituita dall’ Aiuto Dr. Gianfranco Perotti e dagli assistenti Dr. Marco Musselli, Dr. Piero Massetti, Dr. Francesco Leonardi, Dr. Roberto Scagnelli in ordine di assunzione in ruolo. Nel 1978 si aggiungerà il Dr. Antonio Todiere. Questa formazione costituirà lo “zoccolo duro” che per svariati anni porterà avanti il lavoro “di miniera”.

Foto Equipe Massè
Fotografia dei primi anni 90. Il Professore Giacomo Massè è al centro sotto il quadro, alla sua destra con la barba il Dr. Francesco Leonardi e alla sua sinistra il Dr. Marco Musselli

Sono gli anni in cui si sviluppa e cresce in modo esponenziale la chirurgia protesica dell’ anca e del ginocchio che renderà famosa l’ Ortopedia di Savigliano. Nel 1980 il settimanale  L’ Espresso  nella sua “Guida alla salute,oggi, in Italia” si occupa a pag.73 dell’ Ospedale di Savigliano che classifica “tre stelle” e del Professor Massè che definisce “bacchetta magica”. Riporta che il suo gruppo è specializzato in interventi al bacino con protesi particolari.  Non di meno continuano a essere  praticate le tecniche chirurgiche conservative per il trattamento della coxartrosi displasica , così drammaticamente presente nella provincia di Cuneo. Nel contempo una particolare attenzione viene rivolta  all’ Ortopedia Pediatrica. Vengono trattate incruentemente o chirurgicamente pressochè tutte le patologie. Si eseguono gessi correttivi per il piede torto congenito e l’ intervento di Codivilla di allungamento dei tendini, si praticano tenomiotomie tripolari dello sternocleidomoastoideo nel torcicollo congenito miogeno. I neonati con le anche lussate vengono trattati sul lettino di trazione di Morel (appositamente costruito e forse unico esemplare all’ epoca) . Nei casi di modesta displasia o in quelli ridotti con trazione si confezionano in narcosi  gessi pelvi pedidi  in prima e seconda posizione di Paci-Lorenz. Si eseguono a seconda delle necessità del caso le riduzioni chirurgiche, le osteotomie femorali di centramento, l’ osteotomia di bacino sec Salter. Negli esiti o nelle displasie degli adolescenti vengono eseguite , tettoplastiche, osteotomie sagittali di bacino , osteotomie di bacino di Chiari, tripla osteotomia di bacino e in ultimo osteotomie periacetabolari di Ganz associate o meno a osteotomie femorali intertrocanteriche di Pauwels. Particolare merito allo sviluppo di queste metodiche lo si deve anche  al Dr. Piero Massetti. Nel campo della chirurgia del ginocchio , Massè e’ all’ avanguardia perchè già negli anni 70 impianta le protesi monocompartimentali di Marmor e quelle totali , all’ epoca assai rudimentali, di Freeman.  Nel 1986 ritorna alla ribalta delle cronache sia per la sua fama di ortopedico che per voci ciclicamente messe in giro di una sua presunta morte (Piemonte VIP lug 1986).  Nel  1987 applica alla presenza dell’ ideatore Dr. Buechel la prima avveniristica  protesi totale di ginocchio non cementata a menischi mobili nota come New Jersey poi LCS. Parallelamente spinge i suoi collaboratori , Dr. Marco Musselli e Dr. Francesco Leonardi allo sviluppo della tecnica  artroscopica di ginocchio. La sua inesauribile energia lo porta a cercare nuove soluzioni nella chirurgia protesica dell’ anca. Inventa con altri una protesi d’ anca commercializzata con il nome Pegasus . Sfortunatamente e inesplicabilmente non incontrerà i favori del mercato. Negli anni 90 contribuisce alla progettazione di due  steli non cementati da revisione di  protesi d’ anca  denominati Revisal e  Profemur. Nel 1994 è ideatore di una avveniristico stelo corto di protesi d’ anca ad alta resezione denominato Star e poi Stelcor (vedi pagina 251 dell’ articolo).  Si tratta di un modello  supportante teste di grande diametro con accoppiamento metallo-metallo di tribologia avanzata. Viene purtroppo abbandonato nel 2001 per problemi inerenti la cupola Artek (vedi pagina 88 dell’ articolo) assieme alla quale veniva commercializzato come sistema protesico. L’ Ortopedia di Savigliano  si afferma sempre più all’ insegna del suo eclettismo . Non c’è tecnica chirurgica che non venga sviluppata o patologia che non venga trattata e sempre ai massimi livelli. Il Professor Massè è infatti sempre aggiornato dal punto di vista scientifico e attento a ogni innovazione tecnologica. Coinvolge i suoi collaboratori nelle attività chirurgiche conferendo loro ampia autonomia professionale. Mantiene sempre alta la vigilanza e sempre richiama al senso rigoroso del dovere. Sfiora la maniacalità per quel che riguarda il  rispetto della asepsi chirurgica  e dei tessuti. Alla sua “bottega” si formano numerosi ortopedici e tra questi molti futuri Primari. Cessa dal servizio il 10 settembre del 2000 chiamando a proseguire la sua opera, con il beneplacito dell’ Amministrazione,  il suo allievo Dr. Francesco Leonardi.

 

 

 

 

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Epigono: Francesco Leonardi (2000-2015)

Francesco Leonardi nasce a Catania il 20 aprile 1950. Esegue gli studi superiori al Liceo Porporato di Pinerolo e consegue la Laurea in Medicina e Chirurgia a pieni voti presso l’ Università degli Studi di Torino nel 1975. Nel 1978 si specializza con lode in Ortopedia e Traumatologia presso la stessa Università discutendo la tesi su ” I vizi torsionali dell’ età evolutiva”. Nel 1986 consegue l’ Idoneità Nazionale a Primario. Dal 24 gennaio 1977 al 13 marzo del 1994 lavora nella Divisione di Ortopedia della USL 61 di Savigliano diretta dal Prof. Giacomo Massè.  Di questi anni , 10 li trascorre come assistente e 7 come aiuto . In questo periodo apprende le più svariate tecniche chirurgiche e affina le proprie capacità professionali.

Foto Caricatura
Il Dr. Francesco Leonardi (con gli occhiali) nei primi anni 80 mentre opera un ginocchio. Notare la parete a flusso laminare e l’abbigliamento integrale in stoffa. Accanto la caricatura eseguita nel 92 da un  paziente in trepida attesa di un intervento al ginocchio.

Negli anni 80 si interessa di chirurgia del ginocchio ed in particolare delle lesioni legamentose acute e croniche. Esegue riparazioni a cielo aperto di triadi  sfortunate di O’ Donnogue e pentadi   in acuto. Tratta quelle croniche  con plastiche periferiche. Esegue  neolegamentoplastiche pro legamento crociato anteriore (LCA) con protesi in Dacron. Nel 1985 frequenta la Clinique des Maussins di Parigi dove impara la tecnica di plastica extra-articolare pro LCA del  Prof. M. Lemaire e quella per l’ impianto di protesi monocompartimentali di ginocchio del Dr. P. Cartier. Apprende dal Dr. V . Chassaing la chirurgia  artroscopica di ginocchio. E’ del 1987 la sua prima meniscectomia artroscopica. Importa a Savigliano  la pneumoartrografia del ginocchio con mezzo di contrasto (Iopamiro 300) che per l’ epoca era la metodica diagnostica più accurata. Negli anni 1987-89 impianta  legamenti artificiali in Gore-Tex pro crociato posteriore di cui pubblica con Massè nel 1989 tecnica e casistica . Pratica correntemente interventi di protesizzazione parziale e totale di ginocchio. Acquisisce una vasta esperienza traumatologica praticata  secondo   i criteri e i metodi dell’ Associazione Osteosintesi (AO).  Cresce nel frattempo il suo interesse per la chirurgia protesica dell’ anca di cui diventa responsabile di modulo dal 1 dicembre del 1990. E’ di questo stesso periodo la copiosa produzione scientifica divisionale anche e soprattutto per il suo contributo. Nel 1991 è segretario scientifico del 1° Corso internazionale di Chirurgia protesica dell’ anca di Torino dove è relatore alla presenza di illustri convenuti tra cui il Prof. Maurice Muller. Negli anni 90 si occupa del trattamento chirurgico delle anomalie torsionali degli arti inferiori ed esegue  duplici osteotomie correttive secondo Sommerville acquisendo una non comune esperienza.  Nel novembre 1993 vince il Primariato di Ortopedia dell’ Ospedale di  Fossano USL 62 diretta sino ad allora dal Dr. Fabio Mohovich a sua volta ex aiuto del Prof. Giacomo Massè. A marzo del 1994 è pienamente operativo. Mette a frutto l’ esperienza chirurgica maturata a Savigliano in particolare  quella protesica di anca e ginocchio. In breve tempo il volume dell’ attività chirurgica supera per la prima volta  i 1000 interventi l’ anno. Introduce il trattamento chirurgico a cielo aperto delle patologie della spalla  e prosegue il trattamento conservativo chirurgico delle patologie dell’ anca e del ginocchio. L’ 11 settembre 2000 viene chiamato a dirigere la Divisione di Ortopedia di Savigliano della ASLCN 1 sorta nel frattempo  dalla fusione delle due ex USSL 61 e 62. Mantiene la Direzione dell’ Ortopedia della sede di Fossano dove invia come referente il suo aiuto Dr. Roberto Scagnelli che vi rimarrà sino al 2002 anno della soppressione della divisione stessa. Riorganizza l’ ex Divisione  di Massè che nel corso degli ultimi anni ha perso 3  dirigenti vincitori di Primariato (il Dr. Gianfranco Perotti a Tortona, il Dr. Piero Massetti a Bra, il Dr. Marco Musselli a Cuneo).  Altri 3 Dirigenti dal 2000 al 2002 andranno a ricoprire il posto di  Primario (il Dr. Antonio Todiere a Bordighera, il Dr. Marco Schiraldi ad Alessandria ed infine il Dr. Roberto Scagnelli a Saluzzo).    Nonostante questi ed altri fisiologici avvicendamenti  prosegue  a pieno ritmo l ‘ attività chirurgica che si articola su 42 posti letto e  su una casistica molto variegata con alto indice di Case Mix. Le sedute operatorie salgono a 11 la settimana di cui 5 dedicate alla chirurgia protesica e il numero degli interventi supera i 1300 l’ anno.

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Foto del 2003. Da sinistra a destra il Dr. Francesco Leonardi, il Prof. Hamelynk ed il Prof. Giacomo Massè.

Nel  campo della chirurgia protesica del ginocchio ha scambi scientifici con rappresentanti delle due scuole di pensiero, quella di derivazione americana (Prof. Hamelinck) e francese (Dr. Chambat) che saranno suoi ospiti a Savigliano nel 2003 e nel 2006. In particolare con quella francese i rapporti di collaborazione proseguiranno con la partecipazione come inventore insieme ad altri alla progettazione di un impianto tibiale non cementato di protesi di ginocchio.

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Foto del 2006. Da sinistra a destra Il Dr. Chambat, il Dr. Leonardi ed il Dr. Bonnin.

Come  da tradizione lascia ampia autonomia ai suoi collaboratori a cui affida anche la chirurgia artroscopica di spalla e la chirurgia del rachide.  Dal 2010 diventa Direttore del Dipartimento Chirurgico dell’ ASLCn1 costituito da 5 Divisioni Chirurgiche. Nel 2010, dopo aver frequentato il Dr. Nogler a Innsbruck e il Dr. Laude a Parigi inizia  tra  i primi in Italia , la chirurgia protesica mininvasiva dell’ anca per via anteriore. Già nel corso del 2011 esegue interventi bilaterali anche per via inguinale (incisione a Bikini). Nei 5 anni successivi la Divisione di Ortopedia diventa centro di riferimento per la protesizzazione dell’ anca per via anteriore mininvasiva AMIS (Anterior Minimal Invasive Surgery) e Centro Europeo Educational della Zimmer MIS (Minimal Invasive Surgery). Più di 60 chirurghi di tutte le nazionalità partecipano alle sedute operatorie. Nel 2012 la l’ Ortopedia di Savigliano è , per la prima volta nella sua storia   “Visiting Fellowship Hosting Centre” della EFORT Foundation (European Federation of National Associations of Orthopaedics and Traumatology).

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La Divisione di Ortopedia di Savigliano nel 2012. Il Dr. Leonardi è in piedi al centro con la cravatta.

Nel periodo settembre 2011-novembre 2012 , la Divisione di Ortopedia incorpora quella di Mondovi.  L’ attività chirurgica protesica dell’ anca raggiunge il suo massimo storico collocandosi per numerosità subito dopo  a quella dell’ intero CTO di Torino. Dal 15 novembre del 2012  il Dr. Francesco Leonardi , lasciato l’ incarico di direzione dell’ Ortopedia di  Mondovi, dirige anche la Divisione di Ortopedia di Saluzzo che diventa con 20 letti sede di Week e Day Surgery. Realizza un modello organizzativo all’ avanguardia ripartendo l’ attività chirurgica sulle due sedi . A Savigliano concentra la chirurgia di media e grande complessità proseguendo nella tradizione tracciata dal suo predecessore. Si esegue tutta la chirurgia protesica d’ anca e di ginocchio di primo impianto e di revisione nonché la traumatologia. A Saluzzo si pratica la media e piccola chirurgia prevalentemente artroscopica. A marzo del 2015 cessa dal servizio.   Nei quindici anni in cui ha diretto l’ Ortopedia ha sempre raggiunto gli obiettivi budgetari senza abbassare il livello  qualitativo e quantitativo delle prestazioni.  E  tutto ciò con le sole risorse a sua disposizione  rimaste invariate nel corso  degli anni.

 

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Sviluppi

Dopo la cessazione dal servizio del Dr. Francesco Leonardi , al Dr. Roberto Scagnelli è stato conferito l’ incarico temporaneo di Direttore dell’ Ortopedia di Savigliano. Dopo la periodica chiusura di uno dei due reparti durante l’ estate la paventata riduzione dei posti  letto di degenza da temporanea è divenuta definitiva. I posti letto infatti, nonostante le rassicurazioni dell’ ASL , sono stati ridotti a 30. Il 19 di settembre c.m si svolgeranno le prove concorsuali per il conferimento dell’ incarico quinquennale di Direttore. La scelta del candidato sarà ovviamente fortemente indicativa.

Esito concorso del 19 settembre: Primi tre classificati 1° Dr. Fabrizio Rivera Dirigente in servizio Ortopedia Savigliano, 2° Dr. Giuseppe Bianco dirigente in servizio Ortopedia Mondovi, 3° Dr. Lorenzo Maunero dirigente Ortopedia Alba-Bra.

27 settembre Nomina Direttore Ortopedia: Nominato , nel segno della discontinuità, Direttore il Dr. Fabrizio Rivera.

 

 

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Marco Musselli + (1946-2017)

Marco Musselli nasce a Barbianello (PV) il 12 settembre 1946. Consegue nel 1973 presso l’ Università degli Studi di Pavia la Laurea in Medicina e Chirurgia e nel 1976 la Specializzazione in Ortopedia e Traumatologia. Dal 1974 sino al 1997 lavora prima come assistente e poi come aiuto nella Divisione di Ortopedia e Traumatologia di Savigliano diretta dal Prof. Giacomo Massè. E’ di questo periodo particolarmente  fecondo  la sua formazione professionale.  Acquisisce  la padronanza di molte tecniche chirurgiche e si rende rapidamente autonomo sia in campo traumatologico che protesico. Negli anni 80 impianta le prime protesi monocompartimentali e totali di ginocchio. Chirurgo attento, intelligente, minuzioso, rispettoso dell’ anatomia, instancabile lavoratore diventa presto punto di riferimento per i giovani colleghi che in lui  trovano  un valido interlocutore prodigo di consigli. Conquista sul campo un’ autorevolezza  da tutti riconosciuta che non assume mai i toni del protagonismo ostentato. Contribuisce  non poco alla fortuna dell’ Ortopedia Saviglianese di cui rimane  indiscusso  e garbato personaggio  senza mai rubare la scena a nessuno.

Il Dr. Marco Musselli , terzo da destra, ritratto accanto al Prof. Giacomo Massè in una foto degli anni 90.

Sul finire degli anni 80 si cimenta con successo nelle tecniche chirurgiche artroscopiche del ginocchio e matura il suo precipuo interesse per la chirurgia protesica del ginocchio di cui diventa  apprezzato e profondo conoscitore.  Di bella presenza, aveva l’ intelligenza di chi sa osservare con un sottile senso dell’ ironia la realtà e non solo quella professionale.  Tendenzialmente taciturno, talvolta canzonatorio , non era mai irriverente né tantomeno scorretto  nei rapporti professionali e di amicizia. Con gli  amici che spesso erano anche i suoi colleghi era di gradevole compagnia. Talvolta scioglieva il suo innato riserbo ed i suoi ormai proverbiali silenzi  lasciavano il posto ad una inaspettata quanto sorprendente loquacità.   Nel 1997 vince il concorso a Primario presso l’ Ospedale E. Agnelli di Pinerolo (Torino).  Rinuncia e diventa titolare del primariato della prima Divisione di Ortopedia Traumatologia dell’ Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle di Cuneo che dirige sino al 2011 anno della sua messa in quiescenza. In questi anni mette a frutto la sua grandissima esperienza chirurgica e dirige la Divisione con competenza e serietà. Sviluppa e mette a punto con i colleghi della scuola Lionese un sistema protesico non cementato di ginocchio di cui è uno dei più autorevoli autori e  di cui diventa riferimento non solo nazionale.  La sua attività scientifica è dinamica e di alto livello. Invitato frequentemente come relatore a riunioni scientifiche sa dimostrare le sue capacità contemperando esperienza e chiarezza espositiva.  Muore a Cuneo il 12 aprile 2017 dopo aver combattuto invano  per mesi con la sua malattia. Anche in questa tragica circostanza mantiene  la dignità e la compostezza che lo hanno sempre contraddistinto. Con lui scompare per la prima volta un pezzo della gloriosa Ortopedia di Savigliano.  Lascia un grande vuoto in tutte le persone che hanno avuto la fortuna e l’ onore di conoscerlo.

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La grande guerra: Vincenzo Milluzzo

Vincenzo Milluzzo , mio nonno materno , nasce  a Scordia (Catania) il 13 luglio 1886. E’ in forza nell’ Arma dei Carabinieri  quando, allo scoppio della Grande Guerra , viene mandato a combattere in prima linea sul  fronte dell’ Isonzo.  La sua destinazione è il Carso di Doberdò  , teatro di guerra tra i più cruenti. Il 23 ottobre 1915 prende parte alla III battaglia dell’ Isonzo (18 ottobre-4 novembre) una delle più drammatiche e sciagurate offensive lanciate dal  Generale Luigi Cadorna . Costò la vita a 11000 Italiani e a 9000 Austriaci e fu combattuta per contendersi pochi metri di terreno. Ci furono scontri violentissimi tra la III Armata  e le truppe Austro Ungariche lungo un fronte di 50 Km con uno schieramento da parte italiana di più di 1200 bocche di fuoco. La fotografia  lo ritrae sul campo di battaglia a Pieris e Villesse.  A  penna  è riportato “il 23 ottobre  1915 . ore 12. Momento in cui ferveva la grande battaglia su tutto il fronte italiano. Dal 18 al 24 bombardamento di tutte le artiglierie”.

Sul fronte retro-1RNel retro della cartolina fotografia riporta la cronaca di quegli epici giorni.  Sono parole semplici  permeate di autentico  orgoglio patriottico per una battaglia  che purtroppo  si rivelerà disastrosa.  “Ricordo dal campo di battaglia il giorno 23 ottobre 1915. ore 12. momento in cui ferveva la grande battaglia su tutto il fronte italiano sul quale i nostri valorosi soldati italiani si coprirono di gloria e combattevano eroicamente da veri leoni cacciando il nemico dalle sue fortissime trincee e infliggendogli gravi perdite. Su tutto il fronte non si vedeva altro che fumo. Le nostre valorose artiglierie bombardavano per 5 giorni incessantemente. Le mitragliatrici falciavano e la fucileria intensificava il suo fuoco, Vennero fatti 4200 prigionieri, armi e munizioni. li 28 ottobre 1915”. E’ il tragico scenario di quelle inutili mattanze che spesso si ripeteranno nel corso della guerra e che il  Generale Cadorna definisce “attacco brillante”.  “Per attacco brillante si calcola quanti uomini la mitragliatrice può abbattere e si lancia all’ attacco un numero di uomini superiore: qualcuno giungerà alla mitragliatrice ” scrive con cinismo nelle sue Lettere il Capo Supremo.

Pattuglia 1RitBisDietro le linee espleta l’ attività di sorveglianza. Questa foto lo ritrae in tenuta di pattuglia a Villesse l’ 8-13 novembre 1915 quando  è in pieno svolgimento la IV battaglia dell’ Isonzo (10 novembre – 5 dicembre) che si concluderà con la conquista di importanti postazioni al prezzo della vita di 7500 soldati. Dal 20 giugno al 31 luglio 1916 si offre come volontario in prima linea. Rimane per quarantun giorni nelle trincee  sulle alture di Polazzo dove presta la sua opera sotto il tiro della fucileria avversaria. Per  il suo esemplare comportamento verrà insignito della medaglia di bronzo al valore militare. Il 18 settembre 1916 a Quota 208 in pieno giorno incurante del pericolo recupera il cadavere di un soldato   mentre sta per concludersi la VII battaglia dell’ Isonzo (14-18 settembre) che in soli 5 giorni sacrificherà  20333 soldati e 811 ufficiali senza sortire alcun risultato. Dal 23 al 31 maggio 1917 è nel saliente di Bosco Malo (oggi Hudi Log in Slovenia) dove gli scontri sono violentissimi. E’  in pieno svolgimento la sanguinosa X battaglia dell’ Isonzo (12 maggio – 5 giugno 1917). Costerà la vita di 36000 italiani senza raggiungere risultati. Si offre come volontario  porta-ordini. Attraversa ripetutamente zone intensamente battute dal fuoco nemico per condurre squadre di soccorso e accompagnare ufficiali. Per queste sue valorose azioni riceverà la seconda medaglia di bronzo al valor militare.

Vista aereaIl teatro di guerra è quanto di più angosciante si possa immaginare. Gli opposti schieramenti si fronteggiano a distanza di poche decine di metri dietro le trincee e  reticolati . La fotografia aerea  qui riprodotta scattata dagli Austriaci è un raro documento che ritrae da Nord la situazione  esistente a giugno del 1918.  Da questa prospettiva il settore di Hudi Log (5)  è a sinistra e quello di Loquizza in basso (4) . Il territorio italiano è a destra e quello austro-ungarico  a sinistra, in mezzo la terra di nessuno. E’ ben visibile l’andamento a zig zag  delle trincee austriache (1) protette dai reticolati (2). A poca distanza la prima linea italiana (7) e i reticolati di filo spinato (8) visibili in alto a destra. Più arretrata la seconda linea (9).  Il 12 ottobre 1917, il Milluzzo è ancora in prima linea vicino a Doberdò del Lago, a Quota 77, teatro di feroci combattimenti . Entra in un rifugio colpito da una granata incendiaria dove c’ era un serbatoio di benzina. Si accerta della presenza di feriti e li sottrae agli effetti dell’ esplosione. Ripete l’ azione poco dopo in un altro rifugio anch’ esso colpito da una granata incendiaria prestando soccorso agli ufficiali e soldati rimasti feriti .

BiciMa la vita, anche per un uomo coraggioso come lui,   è fatta anche di momenti di relax in cui ritrovare il desiderio di stare con gli amici per qualche foto e qualche pedalata…

Nonnoo per improvvisare un concertino di chitarra e mandolino con l’ inseparabile amico che spesso si fa ritrarre in sua compagnia.

Campana NuovaQui è ritratto  dentro la campana di una  chiesa.  Come egli stesso riporta nel retro della fotografia , essa sorge al bivio tra i paesi di Fogliano  e Castelnuovo . La chiesa è quella di S. Maria al Monte di Fogliano Redipuglia la cui torre campanaria, riportano le cronache, fu distrutta per motivi bellici dagli austro-ungarici durante la Grande Guerra. La fotografia qui riprodotta costituisce dunque un importante documento storico di quella  campana , non sappiamo se poi recuperata o andata distrutta dopo gli eventi bellici.

DuelloSi può anche mimare un duello d’ amore “uno screzio fra compagni affezionati” come riporta sul retro della foto scattata l’ 8 maggio del 1916 a Polazzo nella desolata landa dell’ altopiano carsico.

Nonno al CarsoRSul Carso la vita in trincea è sicuramente dura ma non manca qualche attimo di tregua che gli consente di dedicarsi alla lettura. La foto è molto danneggiata dal tempo e restaurata. Lo ritrae seduto davanti ad una improvvisata scrivania costituita probabilmente dal piano di una macchina da cucire (sembra visibile la scritta SINGER). Alle sue spalle i sacchetti di sabbia.

Nonno Foto GruppoCon i suoi amici commilitoni passa le poche ore liete in allegra e chiassosa compagnia. In questo foto lo vediamo mentre tiene tra le mani un foglio (giornale o mappa?). Chissà chi sopravviverà e  quale sarà il  destino di ognuno di essi.  Per lui ci sarà una tragica e dolorosa realtà.

RitrBisIl 6 novembre del 1917 , sta per concludersi la disastrosa XII Battaglia dell’ Isonzo (24 ottobre- 7 novembre)  meglio nota come la disfatta di Caporetto. Le truppe italiane sono in rotta e si ritirano verso il Piave. Viene catturato dagli Austro-Ungarici ed internato nel campo di concentramento di Marchtrenk in Austria 25 chilometri da Linz . Le condizioni di vita dei prigionieri nei campi di prigionia Austriaci  detti anche “città dei morenti” erano terribili. “Per lenire la fame i prigionieri ingerivano grandi quantità di acqua, ingoiavano erba, terra, pezzetti di legno e carta, anche sassi. Le conseguenze erano morte per dissenteria acuta, o per polmonite, se si gettavano in inverno dentro ai canali di scolo per raccattare la spazzatura delle cucine del campo. La razione di cibo quotidiana che l’Austria riservava ai prigionieri era costituita da un caffè d’orzo al mattino, una minestra di acqua con qualche foglia di rapa a mezzogiorno e a cena una patata con una fettina di pane integrale ed una aringa. Due, tre volte a settimana un minuscolo pezzo di carne”. Basta confrontare le due fotografie per rendersi conto delle sofferenze patite e della sua forte fibra. Ritorna libero il 2 novembre del 1918 , dopo 12 mesi di prigionia e giunge in Italia l’ 11 novembre. Finita la guerra comanda la caserma dei Carabinieri di Palazzolo Acreide e di Caltagirone.

Medagliere
Medagliere di Vincenzo Milluzzo

Sul suo petto fanno bella mostra 7 medaglie. Una croce al merito di guerra, una croce d’ argento per anzianità di servizio militare ,  due medaglie di bronzo al VM  , la medaglia Interalleata di bronzo, la medaglia Unità d’ Italia 1848-1918 e la medaglia Bronzo Nemico.  Ha ricevuto per le sue azioni coraggiose anche 5 encomi solenni e la promozione sul campo a brigadiere per meriti di guerra. Muore per una appendicite complicatasi in peritonite l’ 11 novembre del 1923. Lascia una bimba di 40 giorni e una giovane vedova. Riposa nel cimitero di Scordia (CT) sua città natale. Ogni anno nella ricorrenza del 2 novembre la sua memoria viene onorata con la deposizione di fiori da parte della locale Associazione Combattenti e vive nel ricordo della figlia tuttora vivente che mai lo vide e dei suoi nipoti.

Tomba Nonno

La lapide riporta erroneamente la data di nascita 1884.

Ho voluto raccontare la storia di un uomo che come tanti altri ancora più sfortunati hanno portato la loro piccola tessera nella costruzione di quell’ immenso e splendido puzzle che si chiama Italia. Il loro contributo non andrà perso se parole come coraggio, abnegazione, senso del dovere, rispetto delle regole, fratellanza continueranno a far parte del vocabolario delle nuove generazioni  soprattutto se esse ne sapranno mantenere inalterato significato e valore.

Vincenzo Milluzzo era mio nonno e la bambina mia madre.

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Anomalia torsionale e difetto assiale apparente: che cosa non fare.

La paziente è una adolescente di 13 anni che presenta un apparente varismo delle  ginocchia. Viene eseguito uno studio radiologico degli arti inferiori in ortostatismo. La prima teleradiografia a sinistra è stata eseguita a rotule frontali e con i piedi ruotati all’ esterno come  desumibile dal fatto che  il perone appare nascosto dalla tibia. Viceversa , la  successiva è stata scattata a piedi paralleli e rotule divergenti. Se si traccia l’ asse meccanico esso  appare varo (linea rossa) o fisiologico (linea verde) a seconda della posizione dell’ arto.  Questo apparente paradosso radiografico  ,  può non insospettire  il radiologo ma non deve ingannare l’ ortopedico. Infatti visitando la paziente avrebbe sicuramente riscontrato una anomala escursione articolare delle anche e avrebbe potuto così  formulare la giusta diagnosi di tripla deformazione di Judet (1).  Come è noto questa  sindrome clinica è caratterizzata da elevata antiversione femorale, da eccessiva extratorsione tibiale e per l’ appunto da pseudovarismo del ginocchio. Come conseguenza diretta ci si sarebbe dovuti astenere da qualsiasi trattamento chirurgico o rinviarlo, se mai  necessario,  ad accrescimento compiuto.

GarSarPostopIn questo caso invece il varismo viene considerato reale e come tale trattato chirurgicamente.  Tenuto conto dell’ età evolutiva della paziente viene eseguita l’ emi-epifisiodesi esterna della cartilagine di accrescimento prossimale della tibia per consentire la graduale correzione. Il controllo radiografico postoperatorio  mostra  sia in proiezione a rotule frontali che a piedi paralleli , le cambre poste correttamente a ponte sulla cartilagine di accrescimento. Mostra anche con evidente chiarezza che l’ asse anatomico della tibia è normale.  Dunque intervento tecnicamente perfetto ma indicazione sbagliata.

GarSar2YA distanza di 2 anni la deviazione in valgismo è evidente al punto da deformare le cambre. Ci sarebbe stato ancora il tempo per  evitare la ipercorrezione procedendo tempestivamente alla rimozione delle cambre , se la paziente non si fosse sottratta ai controlli.

GarSarPreQuando giunge alla nostra osservazione la situazione clinica è caricaturale. A piedi paralleli le rotule si presentano intraruotate e il valgismo è evidente. A rotule frontali il valgismo aumenta e supera i 20 cm di distanza intermalleolare.

GarSarProIn posizione prona si osserva la asimmetria di rotazione delle anche. La rotazione interna arriva a quasi 90 gradi. Quella esterna non supera i 20 gradi.  Il dato clinico lascia presupporre la presenza di  elevati valori di antiversione femorale.

GarSarCalcTacPreL’ esame TAC rileva 50° di antiversione femorale a dx e di 42° a sin. La torsione tibiale esterna è di 54 e 52 gradi rispettivamente.   L’ indice tibio-femorale è 4° gradi a dx e 10° a sin. Si è dunque in presenza di un caso di anomalia torsionale dove i valori contrapposti elevati si compensano.

GarSarTeleClinLa teleradiografia degli arti inferiori sotto carico a piedi paralleli dimostra la presenza di un  valgismo di ginocchio di circa 15°.  Si è considerato come attendibile il valore calcolato nella posizione a piedi paralleli perchè a rotule frontali al valgismo reale si aggiunge quello apparente dovuto all’ anomalia torsionale. Considerata l’ entità radiografica e clinica della deviazione assiale  e la  gonalgia dovuta agli elevati stress torsionali , si decide di procedere chirurgicamente.  Il planning preoperatorio sulla base dei dati radiografici e della Tac prevede di derotare il  femore di  20-25° , di varizzare e derotare la tibia di 15° e  20° rispettivamente.   La duplice osteotomia secondo Sommerville (2) viene eseguita procedendo  in senso cranio-caudale. Si pratica dunque l’  osteotomia intertrocanterica di rotazione esterna della diafisi femorale di circa 25° che viene sintetizzata con placca e viti. A livello tibiale si effettua  l’ osteotomia sottotuberositaria di sottrazione varizzante di 15° e di rotazione interna della dialisi tibiale di circa 20°. Per ottenere quest’ ultima  si è dovuto procedere all’ osteotomia distale del perone. La sintesi è ottenuta mediante 2 cambre infisse su piani ortogonali. Si è deciso volutamente di eseguire l’ osteotomia tibiale di sottrazione  mediale. Con la tecnica di addizione la diastasi della corticale esterna in cui si interpone il cuneo d’ osso avrebbe sicuramente di per sé provocato la lesione da stiramento del nervo sciatico popliteo esterno (SPE) e questo senza considerare l’ ulteriore pericolo derivante dalla rotazione interna del moncone diafisario. Come desumibile dall’ anatomia regionale lo SPE è vincolato alla testa del perone e non tollera sollecitazioni anche modeste. Il rischio di lesione in questo tipo di intervento è  alto e ben  noto in letteratura (3)  L’ osteotomia tibiale è stata eseguita distalmente alla tuberosità per non medializzare l’ apparato estensore e creare una iperpressione rotulea mediale.  Del resto già la rotazione esterna del moncone  femorale distale ha migliorato la congruenza articolare femoro-rotulea.  A consolidazione avvenuta la paziente è stata trattata controlateralmente.

GarSarRxpost

Controllo radiografico a 5 settimane dall’ ultimo intervento. I focolai osteotomici si presentano consolidati sia a livello femorale dove si  osserva la presenza della placca condilica,  sia a livello tibiale dove si notano 4 cambre di cui 2 residue del pregresso intervento la cui rimozione non è stata possibile. La teleradiografia degli arti inferiori sotto carico dimostra il perfetto allineamento dell’ asse meccanico e la posizione frontale delle rotule. Al 1/3 distale del perone a dx è ancora visibile l’ osteotomia.

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La TAC di controllo documenta la riduzione dei valori torsionali. L’ indice tibio-femorale è di 10 e 12° rispettivamente. Si può obiettare che la torsione femorale non abbia i  valori normali ma gli ulteriori 10° di derotazione avrebbero comportato un corrispondente aumento di quella tibiale con grave rischio di lesione permanente dello SPE.  Per questo motivo è fortemente consigliabile ipocorreggere i difetti torsionali.

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Il confronto tra aspetto morfologico preoperatorio (immagini a sinistra )  e postoperatorio (immagini a destra) documenta un’ ottima correzione. A piedi paralleli il valgismo è scomparso e le rotule sono frontali, a rotule frontali non si evidenzia alcun difetto assiale e i piedi divergono fisiologicamente. Da notare la cicatrice mediale di soli 8 cm. attraverso cui si è proceduto alla correzione della tibia.

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La verifica clinica della escursione articolare a paziente prono mostra il recupero della simmetria tra intra ed extrarotazione. La correzione apportata è evidente come documentabile dal raffronto tra quadro clinico preoperatorio (immagine in alto) e postoperatorio (immagine in basso). A distanza di 14 anni il risultato si mantiene ottimo sia dal punto di vista estetico sia soprattutto da quello funzionale per la totale assenza di sintomatologia dolorosa.

Bibliografia

  1. Judet J. Antéversion du col de femur. Acta Orth. Belg. 43, 547-549, 1977
  2. Somerville EW (1957) Persistent foetal alignment of the hip. J Bone Joint Surg [Br] 39:106–113
  3. Bruce WD, Stevens PM (2004) Surgical correction of miserable malalignment syndrome. J Pediatr Orthop 24:392–396

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Festa di Sant’ Agata 2015

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Spedizione al Polo Nord Amundsen 1925

I componenti della spedizione sono ritratti poco prima della partenza a King’s Bay nello Svalbard. Riconoscibile, seduto, Roald Amundsen. Da sinistra Feucht, Ellsworth, Horgen (ottimo pilota che però non prenderà parte al volo) , Riiser-Larsen, Dietrichson, Omdal. Il progetto è quello di raggiungere per via aerea il Polo Nord. Utilizzeranno a tale scopo due idrovolanti  denominati  N. 24 e N. 25 imbarcati smontati a Tromso su due navi, l’ Hobby e la Farm e rimontati a Ny Alesund . Sul N. 25 prenderanno posto Amundsen (capo spedizione) Riisen Larsen (pilota e comandante in seconda ), Feucht (meccanico) .  Sul N. 24 saliranno Dietrichson (pilota) , Ellsworth (esploratore e finanziatore dell’ impresa) e Omdal (meccanico)

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La fotografia ritrae i componenti del N.24 poco prima della partenza. Si vedono Dietrichson con gli occhialoni al comando, accanto a lui Omdal ed Ellsworth nella cabina di osservazione posta sulla prua dell’ aereo Dornier – Wal . La scelta di questo modello di idrovolante dalle particolari caratteristiche  non è casuale ma frutto di una minuziosa valutazione e si rivelerà, come dimostreranno  gli eventi, di fondamentale importanza. Rispetto agli altri modelli a pattini o a galleggianti laterali presentava, come visibile nella fotografia, un battello centrale di ampie dimensioni in alluminio duro che permetterà di ammarare senza capovolgersi e di non sprofondare nella neve nonostante il considerevole peso del’ aereo (3 tonnellate). La presenza di due galleggianti ai lati della chiglia si rivelerà preziosa agendo come rompighiaccio. L’ aereo era dotato di due potenti motori Roll-Royce da 720 cavalli in tandem uno anteriore ed uno posteriore. In caso di avaria di uno dei due l’ aereo avrebbe potuto proseguire il volo alleggerendo il carico. Il 21 maggio 1925 alle ore 5 di mattina inizia la trasvolata polare: i due aerei , privi di apparecchi radio perchè non disponibili per la data prevista della partenza, decollano dalla King’s Bay. Il N.25 senza problemi, il N.24 riporta invece durante il decollo una falla nella chiglia che non impedirà tuttavia al pilota Dietrichson, di continuare il volo per non compromettere lo svolgimento dell’ impresa.

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Dall’ alto (vedi foto) la banchisa polare si presenta  come una enorme desolata distesa di ghiaccio di 120000 miglia quadrate  interrotta qua e là da canali di acqua “raak” e accidentata da accumuli di ghiaccio “skrugar” creati dalle dighe di pressione. Dopo 8 ore consecutive di volo, giunti all’ 88° Nord, essendo la benzina nei serbatoi ridotta alla metà, il N. 25 (nella foto ripreso dal N. 24) scende a cerchi concentrici cercando dove ammarare. L’ impresa si rileva tutti’ altro che facile per  il rischio di fracassare l’aereo contro gli skrugar ma il pilota riesce a fermarsi fortunatamente su una distesa d’acqua giusto in tempo perchè il motore posteriore smette di funzionare.

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Il pilota del N.24, visto scendere il N. 25 ammara poco distante anche questo con problemi al motore posteriore (alle valvole di scarico). Il Polo Nord non è stato raggiunto e dista solo 136 miglia. Non resta che tornare . I due equipaggi si tengono in contatto con segnali semaforici o morse sino a ricongiungersi.  Non mancano momenti drammatici come quando Dietrichson e Omdal camminando su ghiaccio nuovo sprofondano nell’  acqua  gelida correndo il rischio di essere trascinati sotto la banchisa dalla forte corrente. Sarà Ellsworth a trarli in salvo dimostrando coraggio e determinazione. Per questo gesto  riceverà al suo rientro  dal Re di Norvegia una medaglia al valore.

N17 Il N.24 svuotato di tutte le cose utili per sopravvivere sulla banchisa, viene abbandonato al suo destino.

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Tutti i 6 superstiti lottano per 3 settimane contro la morsa del ghiaccio per salvare l’ unico apparecchio rimasto che è diventato nel frattempo anche il loro rifugio. Lo spostano continuamente su ghiaccio sicuro e approntano una pista di 700 metri adatta per il decollo sbancando con  tre pale di legno e un’ ancora da ghiaccio 500 tonnellate di ghiaccio!  Nell’ attesa di trovare le condizioni favorevoli per decollare riducono la dose di cibo giornaliera da 1000 a 300 grammi (3 biscotti). Misurano con scandaglio a riflessione la profondità del mare in quel punto che risulta essere di 3750 metri e concludono che  al Polo Nord non esistano terre emerse, per lo meno per il tratto da loro esplorato.

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Il 15 giugno il termometro segna -3°, la pista è  gelata, liscia, dura, ideale per il decollo  e soffia un vento favorevole da sud-est.  Alle 9,30 il pilota Riisen-Larsen accende i motori e alle 10,30 finalmente decolla dirigendosi verso la costa nord dello Svalbard. Volano pe ore e ore, combattendo con la nebbia che specie a 82°  era diventata fitta e si mantengono a quota così bassa da sfiorare le punte degli “skrugar” .  Ad un certo punto il comando dei timoni di direzione smette di funzionare per cui verso le 7 di sera sono costretti ad ammarare per poi arrivare a terra un ora dopo a Capo Nord nella terra di Nord-est. Avvistata una baleniera ripartono con l’ aereo ed ammarano vicino ad essa. Il capitano della Sjoliv (questo il nome dell’ imbarcazione) riconosce tra i sei uomini Amundsen dal profilo del naso e li porta  con l’aereo a rimorchio sino alla King’s Bay.

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Il 5 luglio 1925 vengono accolti come eroi dalla popolazione di Oslo  e ospitati a pranzo dai Reali di Norvegia.

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Si conclude dunque in modo trionfale la trasvolata polare di Amundsen-Ellsworth anche se il Polo Nord non è stato raggiunto.

La descrizione dettagliata del polo volare di Amundsen è riportata nel suo libro “Il mio volo polare fino a 88° lat. Nord” edito da Mondadori, 1925

Tutte le immagini riportate nell’ articolo sono  fotocalcografie d’ epoca certificate e appartengono alla collezione Leonardi.

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Anomalia torsionale acquisita: esiti di frattura femorale

Giovane ragazza di 22 anni riporta a seguito di incidente stradale frattura diafisaria femore sin e bimalleolare caviglia omolaterale. Viene sottoposta ad intervento chirurgico di inchiodamento endomidollare del femore a cielo coperto e a sintesi con placche e viti della frattura della caviglia. Si presenta a visita ortopedica, a consolidazione ormai avvenuta delle fratture lamentando  una posizione   del piede “diversa” dall’ altra e dolore al carico a livello dell’articolazione sottoastragalica.. In effetti clinicamente in posizione eretta si osserva che a piedi paralleli il ginocchio sinistro e più intrarotato e che a rotule frontali il piede sinistro è meno divergente rispetto al controlaterale. Si nota anche che il piede sinistro è pronato sia per l’ intrarotazione del ginocchio sia per meccanismo di compenso della ridotta extrarotazione del piede.

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In posizione prona la rotazione esterna a sinistra  è di circa 20°, a destra di 60°.

BNaPreIntraViceversa l’ intrarotazione a sinistra è aumentata considerevolmente mentre a destra è meno di 30°.

BNaSedIntraIn posizione seduta la paziente a destra non riesce ad intrarotare l’ arto mentre a sinistra riesce ad assumere la posizione a “sarto rovesciato”.

BNaBudViceversa a destra è possibile assumere la posizione “a Buddha” mentre a sinistra non è consentita. Questi dati clinici fanno porre il sospetto di un difetto torsionale postraumatico. Si propone quindi di eseguire una radiografia del femore e una TAC arti inferiori per il calcolo delle torsioni.

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La radiografia evidenzia il chiodo endomidollare bloccato e la consolidazione della frattura con lieve scomposizione dei frammenti.

BNaTacCalPreLa TAC documenta dal lato sano una antiversione del femore di  e di 50° dal lato fratturato. La torsione tibiale esterna è di 54° bilateralmente. L’ indice tibio-femorale (ITF) è di 54° (54-0)  a destra e di 4° (54-50) a sinistra. La differenza tra i due lati è dunque di ben 50° ed è causata dalla sintesi del femore sul letto operatorio a piede intraruotato.  Mentre in  un soggetto con torsioni “normali” questa posizione  ripristina  la “fisiologica” antiversione femorale di circa 20°, in un soggetto con anche retroverse la fa considerevolmente  aumentare. Essa è tanto più alta  quanto più è elevato il valore di extratorsione tibiale. Se si considera che il paziente, (come visibile nella fotografia a destra  ad inizio  articolo) presenta a rotula frontale il piede destro ruotato all’ esterno di circa 45°,   risulta evidente come l’ azzeramento di tale valore  porti dal lato sinistro ad un aumento  corrispettivo dell’ antiversione. Sulla base del calcolo TAC si esegue a livello del focolaio di frattura, osteotomia femorale di rotazione esterna del moncone femorale distale di circa 50°. La scelta del mezzo di sintesi  è a discrezione dell’ operatore e può variare dall’ inchiodamento, al fissatore esterno, alla placca. Noi abbiamo optato per la placca per avere un diretto controllo visivo della esatta correzione utilizzando come repere anatomico certo la linea aspra del femore. Nulla vieta il ricorso all’ inchiodamento purché eseguito a cielo aperto o al fissatore esterno con modulazione graduale della correzione ma con un notevole dilungamento dei tempi chirurgici e con rischio di comparsa di intolleranza alle fiches prima della consolidazione.

BNaPostop

Il controllo radiografico a distanza di  2 mesi evidenzia la correzione del difetto e una buona consolidazione.

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La TAC postoperatoria documenta i gradi della correzione apportata (50°) con azzeramento della antiversione femorale sinistra e ripristino della simmetria dei valori torsionali.

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Dal confronto dell’ aspetto clinico pre e postoperatorio in ortostatismo e a piedi paralleli si nota la simmetrica posizione delle rotule e…

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a rotule frontali la simmetrica divergenza dei piedi.

BNaPrepostIntraIn posizione  prona l’ esame clinico evidenzia la riduzione della intrarotazione dell’ arto sinistro prima e dopo l’ intervento…

 BNaPrePosExtrae l’ aumento della extrarotazione.

BNaBuddha

Infine la paziente può riassumere la posizione a “Buddha” che prima le era impedita a sinistra. In modo analogo può tenere divaricate in modo simmetrico  le gambe. La divaricazione che avviene per il movimento combinato di flessione, abduzione e rotazione esterna dell’ anca è ora possibile grazie al recupero a sinistra della rotazione esterna. Il dolore a livello della sottoastrgalica è scomparso e a distanza di 17 anni dall’ intervento il risultato si mantiene stabile.

Conclusioni: La torsione degli arti inferiori è estremamente variabile da soggetto a soggetto. Nel momento in cui un segmento scheletrico si frattura bisogna poter immaginare quale sia il corretto orientamento dei monconi di frattura e quale sia il morfotipo degli arti inferiori. E’ evidente che valori torsionali standard vadano bene per un soggetto “normale” ma che costituiscano viceversa patologia iatrogena in un soggetto che presenti una assenza di antiversione femorale. Per questi motivi è vivamente consigliabile prima di eseguire una sintesi di un segmento scheletrico , specie se eseguita a cielo chiuso, di verificare il range di movimento dell’ anca dell’ arto sano e in caso di riscontro di rotazioni fortemente asimmetriche eseguire uno studio TAC delle torsioni dell’ arto inferiore. In tal caso, conoscendo i valori, al momento dell’ intervento si possono  ripristinare tali valori utilizzando  come reperi   un filo di Kirschner posizionato lungo l’asse del collo femorale e un altro inserito a livello transcondiloideo prendendo come riferimento gli epicondili. In carenza o nell’ impossibilità tecnica di effettuare una TAC , prima di procedere alla osteosintesi definitiva valutare estemporaneamente ad arto flesso la simmetricità delle rotazioni dei due arti.

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