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Anomalia torsionale congenita: la tripla deformazione di Judet

E’ un’ entità clinica caratterizzata da elevata antiversione femorale, eccessiva torsione tibiale esterna e da pseudovarismo di ginocchio (1). Gli arti inferiori in posizione eretta frontale a piedi paralleli presentano caratteristicamente uno strabismo rotuleo convergente e un ginocchio varo. Spesso si nota la prominenza della testa del perone anteriorizzata. A rotule frontali i piedi  divergono fortemente , lo strabismo rotuleo scompare così come l’apparente  varismo del ginocchio. Esso è dovuto all’ atteggiamento in intrarotazione dell’ arto che proietta mediamente il procurvo femorale (effetto camma).

Img_2986In posizione prona la rotazione interna è fortemente aumentata sino a raggiungere e talvolta superare 70-80 gradi.

DiTCliPreLa rotazione esterna è invece diminuita. La deambulazione avviene a ginocchio intrarotato ma con angolo del passo normale. Questo fenomeno è dovuto al fatto che le due torsioni femorale e tibiale  in genere si compensano. Questa situazione clinica di per sé, a parte l’ inestetismo, è in genere ben tollerata. In qualche caso, come in questa giovane paziente compare una fastidiosa sintomatologia dolorosa al ginocchio ribelle alle terapie conservative. E’ quindi giustificato eseguire gli accertamenti idonei per valutare l’ entità dei valori torsionali e per la pianificazione di un eventuale trattamento chirurgico.

SchemaTACLa TAC viene eseguita secondo il protocollo di Lerat sul paziente con i piedi posizionanti su un podogramma che riproduce  l’ impronta dei piedi e l’ angolo del passo.  Le sezioni principali passano per l’ asse del collo femorale, il piano bicondiloideo posteriore femorale, il bordo posteriore dei piatti tibiali e l’ asse bimalleolare.

DiTCalPre I valori di antiversione femorale (AF) sono bilateralmente di 34°,  quelli di torsione tibiale esterna (TTE) di circa 50°. L’ indice tibio femorale (ITF)  è 14 a destra (48-34) e 16 a sinistra (50-34). La teleradiografia sotto carico degli arti inferiori non dimostra , come prevedibile, la presenza di un ginocchio varo.

DiTCalcPosSulla base dei calcoli viene pianificato ed eseguito  , prima su un arto e poi sull’ altro intervento di  duplice osteotomia secondo Sommerville (2).  L’ osteotomia femorale è eseguita in sede sovracondiloidea ed è di rotazione esterna del moncone diafisario di circa 15°,  quella tibiale a livello sovratuberositario ed è  di rotazione interna della diafisi di circa 20°. La sintesi è ottenuta al femore mediante placche modellate e alla tibia mediante cambre. Il controllo radiografico a distanza di soli 40 gg evidenzia la consolidazione delle rime osteotomiche.  Il controllo postoperatorio TAC documenta una riduzione dei valori di di antiversione femorale  di circa 12° (34-22 a dx e 34-20 a sin) e di circa 22° (48-25 a dx e 50-24 a sin) della extratorsione tibiale. Tali valori sono stati quelli necessari per portare la rotula in posizione frontale e per mantenere un angolo del passo fisiologico di circa 15° .  La detorsione femorale teorica di 22° per ottenere il valore normale medio di 12° avrebbe comportato una detorsione tibiale di oltre 30° con il concreto rischio di provocare lesioni del nervo sciatico popliteo esterno alla testa del perone.  Per questo motivo è tassativo ipocorreggere i difetti torsionali sia a livello femorale che tibiale.

PrepostL’ aspetto morfologico postoperatorio degli  arti inferiori è molto buono. A piedi paralleli mentre prima  le rotule sono convergenti e lo pseudovarismo evidente, dopo l’ intervento di duplice osteotomia le rotule sono frontali ed è scomparsa l’apparente deviazione frontale.

Prepost2A rotule frontali mentre prima i piedi risultavano molto divergenti, dopo presentano un assetto fisiologico.

DiTPostA paziente prono, la rotazione delle anche è pressoché nella norma con valori angolari di intra ed extrarotazione simmetrici. A distanza di 25 anni il risultato clinico ed estetico si mantiene ottimo in assenza totale di sintomatologia dolorosa.

  1. Judet J. Antéversion du col de femur.  Acta Orth. Belg. 43, 547-549, 1977
  2. Somerville EW (1957) Persistent foetal alignment of the hip. J Bone Joint Surg [Br] 39:106–113

Articolo redatto con la collaborazione del Prof. Luigi Molfetta Università Studi Genova.

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Osteotomia femorale di resezione-angolazione di Milch

Nel 1955 H. Milch (1) pubblicava un articolo dove presentava una nuova tecnica chirurgica , studiata negli anni precedenti (2)  per il trattamento della patologia degenerativa o malformativa dell’ anca. L’ intervento , denominato osteotomia di resezione-angolazione consisteva nella  resezione  della testa e del collo femorale  e  nell’ angolare la metaepifisi in modo da neoarticolare il piccolo trocantere all’ acetabolo. La tecnica originale prevedeva  l’ esecuzione in due tempi: nel primo si eseguiva l’ osteotomia femorale di angolazione nel secondo si resecavano la testa ed il collo. Il dolore era ridotto dall’  eliminazione dell’ attrito delle superfici articolari senza sacrificare la mobilità a differenza dell’ artrodesi. La stabilità era garantita , a differenza della tecnica di Girdlestone , dall’ appoggio del piccolo trocantere nell’ acetabolo .  Soluzione geniale che univa i vantaggi delle due tecniche senza averne i difetti. L’ accorciamento dell’ arto e la zoppia rimanevano ma il paziente aveva un’ anca mobile, stabile e relativamente poco dolorosa. Nel citato lavoro (1) veniva  presentata una casistica di 64 pazienti con risultati del tutto lusinghieri per quanto riguarda il dolore con scomparsa (67%) o marcata riduzione  (35%). A onor del vero va detto che un risultato così straordinario  è comprensibile solo se si considera il livello di  tolleranza del dolore di allora che non è certamente rapportabile a quello attuale. Anche il recupero del range of motion (53% soddisfacente , 30% migliorato) va debitamente contestualizzato  e oggi sarebbe del tutto inaccettabile. Meno che mai la deambulazione con grucce. Ancora nel 1959 Milch pubblica un articolo (3) in cui ripropone e descrive in dettaglio la sua tecnica. L’ osteotomia era pianificata ed eseguita al  livello sottotrocanterico desiderato . La sintesi era realizzata con una placca-lama adeguatamente sagomata che veniva conficcata alla base del gran trocantere. La tecnica ebbe grande diffusione e fu adottata anche in Italia. In qualche paziente i Chirurghi nostrani si ingegnarono nel trovare un mezzo di sintesi più semplice, il chiodo di Rush, come visibile nel caso riportato che tra l’ altro presenta la peculiarità di essere un intervento bilaterale. In genere si optava per un’ artrodesi da una parte e una Milch all’ altra.

Talora veniva eseguito solo il primo tempo chirurgico  di  osteotomia-angolazione  del femore senza resezione della testa e del collo.
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L’ applicazione successiva di una protesi richiedeva una discreta abilità chirurgica perchè bisognava ripetere allo stesso livello l’ osteotomia, allineare i monconi e impiantare lo stelo utilizzandolo anche come mezzo di sintesi. Il caso riportato, in cui negli anni 90 è stata messa in opera una protesi non cementata modulare avvitata è emblematico delle difficoltà tecniche e documenta un passaggio epocale.
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  1. Milch H. The resection-angulation operation for hip-joint disabilities. J Bone Joint Surg Am. 1955;37:699–717.
  2. Milch H. Osteotomy of the Long Bones. Springfield, MO: Charles C. Thomas; 1947.
  3. Milch H. Technic of the resection angulation operation for hip-joint disabilities. Clin Orthop Relat Res.1959;13:265–270.
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Spedizione Polare Ziegler-Fiala 1903-1905

Ai primi del 900 la conquista del Polo Nord era ancora una sfida aperta. Nel 1903 un ricco industriale nord americano, William Ziegler, finanzia una spedizione comandata da Antony Fiala che già nel 1901 aveva partecipato , come fotografo, alla prima spedizione Baldwin-Ziegler costretta al rientro  per divergenze tra Baldwin e il comandante dell’ equipaggio. La nave “America” parte da Vardo in Norvegia  con provviste,  39 membri di equipaggio, 183 cani e 5 ponies Siberiani. Anche questa spedizione fallisce ma per le avverse condizioni meteorologiche. La nave , infatti, raggiunta la Baia di Teplitz nell’ Arcipelago di Francesco Giuseppe, naufraga con gran parte del suo carico di carbone e viveri, distrutta dalle dighe di pressione della banchisa. Nonostante ciò il Fiala non si perde d’ animo e punta per tre volte verso il Polo ma non supera mai gli 82° Nord molto meno di quanto raggiunto anni prima dalla spedizione Polare del Duca degli Abruzzi (86° 34′). Perse le speranze di raggiungere il polo, sopravvive grazie alla caccia e alla pesca e ai viveri lasciati dalle precedenti spedizioni , per due lunghissimi e duri inverni. Nella notte del 5 gennaio del 1905  la temperatura esterna raggiunge  i 60.2 gradi sottozero! I soccorsi arrivano solo nell’ estate del 1905. Il Fiala, era un ottimo fotografo ed il suo libro Fighting Polar Ice edito nel 1906, illustrato con splendide fotografie, ne è la più valida testimonianza. Di esse ne descrive dettagliatamente la tecnica. Di regola scattava le fotografie dall’ alto di un blocco di ghiaccio  in modo da avere un’ ampia visuale e una resa prospettica tale da abbassare i rilievi e appiattire i pendii. Otteneva in tal modo foto panoramiche che inquadravano completamente la scena delle colonne di slitte con gli uomini e la muta di cani. Della spedizione esiste anche una ripresa cinematografica da lui effettuata che costituisce quasi certamente il primo filmato realizzato nell’ Artico.Foto Fiala Orig

Fotografia originale all’ albume 265×85 mm firmata “Anthony Fiala” e intitolata  “Ziegler Polar Expedition 1903-1905” (Collez. Leonardi). La stessa foto riportante la didascalia Soft snow and rough ice si trova alla pagina 167 del libro-resoconto della spedizione Fighting the Polar Ice edito nel 1906 . Risulta evidente la accurata composizione scenografica e la abile tecnica riproduttiva.

Scritta FialaBis

Al retro, in parte leggibili sono riportate a matita le seguenti annotazioni  “82° N The sledge column on the march (…good traveling far a short distance )” che indicano la latitudine raggiunta e la difficoltà di avanzamento se non su brevi distanze.

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Eruzione Etna 1886: il Club Alpino Italiano battezza un cratere e visita Nicolosi deserta

Fotografie d’ epoca in albume della spedizione del CAI di Catania al teatro eruttivo e a Nicolosi. (Collez. Leonardi). Il 13 giugno 1886 il CAI Sezione di Catania delibera di nominare il nuovo cratere formatosi durante l’ eruzione  “Monte Gemmellaro” in onore del noto medico e vulcanologo Carlo Gemmellaro. La cronaca di quell’ evento è fedelmente riportato alla pagina  161 del  libro “Sulla Eruzione dell’ Etna di maggio-giugno 1886” dell’ Ing. B. Gentile Cusa:  ” Il 22 giugno due comitive di socii del Club Alpino, dopo aver visitato il campo dell’ eruzione, s’ incontravano sulla vetta del nuovo cratere, dove con grande solennità e con maggiore allegria, il Presidente della Sezione Signor Barone Enrico Grimaldi di Serravalle, battezzava il neonato rompendo la tradizionale bottiglia di vino spumante. A ricordo di questo fatto, unico negli annali della storia Etnea, era stata trasportata fin là e fu posta sulla cima sud del monte una grossa lapide marmorea sulla quale sta scritto: << Sezione Catanese del C.A.I – Monte Gemmellaro 1886 >>. Ciò perchè i posteri non abbiano a prendere abbagli. Pei contemporanei pensava l’ Avv. Ursino riproducendo in fotografia il simpatico gruppo dei soci intervenuti”. Durante l’ ascesa attraversano l’ abitato di Nicolosi desolatamente vuoto per l’ ordine di sgombero dato dalle Autorità a causa  del grave rischio di essere travolto dalla colata lavica.

Battesimo del nuovo cratere: Nove personaggi in posa ufficiale. Tra di essi oltre al Presidente del CAI Sezione di Catania anche il Barone Ursino Recupero mecenate e filantropo catanese (probabilmente il 3° partendo da destra). Il soggetto che appare in 3.a posizione a sinistra tiene nella mano destra il pulsante  per scattare la fotografia. Notare l’ abbigliamento alpino alquanto approssimativo.

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Caverna eruttiva a sud-ovest di Monte Gemmellaro: altra fotografia in posa aulica vicino alla grande caverna apertasi ai piedi di Monte Gemmellaro. Notare il personaggio a destra che mantiene un atteggiamento da conquistatore e le dimensioni dell’ apparato eruttivo in rapporto alle figure umane. 5_1886R

Braccio dei Monti Rossi (visto da levante): E’ visibile alla base del cono più a destra, il braccio di lava che più da vicino minaccia  l’ abitato di Nicolosi.
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Il “Calvario” ingombro di masserizie: E’ uno dei rioni di Nicolosi ingombro delle masserizie sparse qua e là pronte per l’ evacuazione. I bracci di lava sono nelle immediate vicinanze ed  il rischio per le persone e le cose è alto. Gli abitanti abbandonano le loro case e trasportano in strada quanto può essere portato via comprese finestre,inferriate e persino i tetti.
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Piazza di Nicolosi dopo lo sgombro: Il cuore della cittadina abbandonato. E’ una scena irreale e tragica se si pensa a quanto fosse  animata dalle persone. La desolazione regna su tutto ed esprime la sofferenza della popolazione.
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Eruzione Etna 1886: gita al teatro eruttivo

Ascensione all’ Etna di un gruppo di curiosi o di un fotografo con famiglia, in occasione della grande eruzione del 1886.  Il servizio fotografico, unico nel suo genere documenta le varie fasi  della gita, dalla partenza , alla sosta di fronte alla colata lavica sino al raggiungimento delle quote più alte vicino ai crateri eruttivi e alla bocca principale. Il portfolio, come si direbbe oggi, è costituito da fotografie antiche su albumina di cm 17×11 montate su cartoncino e fanno parte della collezione Leonardi. 

Partenza per la gita: Comitiva di 6-7 persone, 2 astanti sulla sinistra che salutano e un ragazzo in primo piano che spunta un bastone, 4 muli con le bisacce ricolme. Notare la sapiente composizione fotografica: 3 soggetti guardano verso il fotografo mentre gli altri ,rivolti verso la meta, sono su piani diversi per dare maggiore profondità di campo. Il capo spedizione si vede in lontananza tra i 2 muli centrali.

Eruzione Etna 1886-2Punto di osservazione: Il gruppetto ha raggiunto la sommità di una collina (probabilmente Monte Guardiola m.1130 slm) da cui osservano la colata. Notare a destra il soggetto con l’ ombrello nella mano sinistra. Uno dei gitanti guarda l’obbiettivo.Una donna con abiti non propriamente sportivi è in piedi, intenta ad osservare lo spettacolo. La figura più a destra è sdraiata e assorta nella contemplazione.

9_1886BisMonte Nuovo di Levante: Siamo in quota probabilmente sui 1400 m slm  di fronte al nuovo cono vulcanico creatosi durante l’ eruzione e non ancora battezzato Monte Gemmellaro (m. 1529 slm) . Il fianco di levante del monte è osservato da ovest. Il signore al centro della foto  si disseta direttamente  dalla bottiglia (se contenga vino o acqua non è dato sapere). L’ altro con il cappello tenuto da una sciarpa, posato  l’ ombrello a terra, tiene in un mano un martello e nell’ altra probabilmente una pietra vulcanica.

10_1886Bis

Monte Nuovo di Ponente: Lo stesso monte visto da est presenta la parete ovest dalla caratteristica forma bicorne . Visibile a sinistra il profilo di Monte Grosso. La scena è cambiata: un uomo è seduto su un masso vulcanico con l’ ombrello parasole aperto, l’ altro vicino a lui è sdraiato e guarda il monte. Sulla destra un altro uomo in piedi è vicino a un mulo carico di bagagli.

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Teatro eruttivo: Dopo la visita ai crateri si raggiunge il teatro eruttivo sconvolto dalle scorie di lava.  La bocca principale è visibile sulla destra con la voragine che emette ancora vapori e gas ed il  canale di scorrimento lavico ancora attivo. Un uomo è chinato verso il basso interessato a chissà quale prodotto lavico. Il rapporto tra uomo e apparato esplosivo dona bene l’ idea delle dimensioni  (parecchie decine di metri).

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