Giovane ragazza di 22 anni riporta a seguito di incidente stradale frattura diafisaria femore sin e bimalleolare caviglia omolaterale. Viene sottoposta ad intervento chirurgico di inchiodamento endomidollare del femore a cielo coperto e a sintesi con placche e viti della frattura della caviglia. Si presenta a visita ortopedica, a consolidazione ormai avvenuta delle fratture lamentando una posizione del piede “diversa” dall’ altra e dolore al carico a livello dell’articolazione sottoastragalica.. In effetti clinicamente in posizione eretta si osserva che a piedi paralleli il ginocchio sinistro e più intrarotato e che a rotule frontali il piede sinistro è meno divergente rispetto al controlaterale. Si nota anche che il piede sinistro è pronato sia per l’ intrarotazione del ginocchio sia per meccanismo di compenso della ridotta extrarotazione del piede.
In posizione prona la rotazione esterna a sinistra è di circa 20°, a destra di 60°.
Viceversa l’ intrarotazione a sinistra è aumentata considerevolmente mentre a destra è meno di 30°.
In posizione seduta la paziente a destra non riesce ad intrarotare l’ arto mentre a sinistra riesce ad assumere la posizione a “sarto rovesciato”.
Viceversa a destra è possibile assumere la posizione “a Buddha” mentre a sinistra non è consentita. Questi dati clinici fanno porre il sospetto di un difetto torsionale postraumatico. Si propone quindi di eseguire una radiografia del femore e una TAC arti inferiori per il calcolo delle torsioni.
La radiografia evidenzia il chiodo endomidollare bloccato e la consolidazione della frattura con lieve scomposizione dei frammenti.
La TAC documenta dal lato sano una antiversione del femore di 0° e di 50° dal lato fratturato. La torsione tibiale esterna è di 54° bilateralmente. L’ indice tibio-femorale (ITF) è di 54° (54-0) a destra e di 4° (54-50) a sinistra. La differenza tra i due lati è dunque di ben 50° ed è causata dalla sintesi del femore sul letto operatorio a piede intraruotato. Mentre in un soggetto con torsioni “normali” questa posizione ripristina la “fisiologica” antiversione femorale di circa 20°, in un soggetto con anche retroverse la fa considerevolmente aumentare. Essa è tanto più alta quanto più è elevato il valore di extratorsione tibiale. Se si considera che il paziente, (come visibile nella fotografia a destra ad inizio articolo) presenta a rotula frontale il piede destro ruotato all’ esterno di circa 45°, risulta evidente come l’ azzeramento di tale valore porti dal lato sinistro ad un aumento corrispettivo dell’ antiversione. Sulla base del calcolo TAC si esegue a livello del focolaio di frattura, osteotomia femorale di rotazione esterna del moncone femorale distale di circa 50°. La scelta del mezzo di sintesi è a discrezione dell’ operatore e può variare dall’ inchiodamento, al fissatore esterno, alla placca. Noi abbiamo optato per la placca per avere un diretto controllo visivo della esatta correzione utilizzando come repere anatomico certo la linea aspra del femore. Nulla vieta il ricorso all’ inchiodamento purché eseguito a cielo aperto o al fissatore esterno con modulazione graduale della correzione ma con un notevole dilungamento dei tempi chirurgici e con rischio di comparsa di intolleranza alle fiches prima della consolidazione.
Il controllo radiografico a distanza di 2 mesi evidenzia la correzione del difetto e una buona consolidazione.
La TAC postoperatoria documenta i gradi della correzione apportata (50°) con azzeramento della antiversione femorale sinistra e ripristino della simmetria dei valori torsionali.
Dal confronto dell’ aspetto clinico pre e postoperatorio in ortostatismo e a piedi paralleli si nota la simmetrica posizione delle rotule e…
a rotule frontali la simmetrica divergenza dei piedi.
In posizione prona l’ esame clinico evidenzia la riduzione della intrarotazione dell’ arto sinistro prima e dopo l’ intervento…
e l’ aumento della extrarotazione.
Infine la paziente può riassumere la posizione a “Buddha” che prima le era impedita a sinistra. In modo analogo può tenere divaricate in modo simmetrico le gambe. La divaricazione che avviene per il movimento combinato di flessione, abduzione e rotazione esterna dell’ anca è ora possibile grazie al recupero a sinistra della rotazione esterna. Il dolore a livello della sottoastrgalica è scomparso e a distanza di 17 anni dall’ intervento il risultato si mantiene stabile.
Conclusioni: La torsione degli arti inferiori è estremamente variabile da soggetto a soggetto. Nel momento in cui un segmento scheletrico si frattura bisogna poter immaginare quale sia il corretto orientamento dei monconi di frattura e quale sia il morfotipo degli arti inferiori. E’ evidente che valori torsionali standard vadano bene per un soggetto “normale” ma che costituiscano viceversa patologia iatrogena in un soggetto che presenti una assenza di antiversione femorale. Per questi motivi è vivamente consigliabile prima di eseguire una sintesi di un segmento scheletrico , specie se eseguita a cielo chiuso, di verificare il range di movimento dell’ anca dell’ arto sano e in caso di riscontro di rotazioni fortemente asimmetriche eseguire uno studio TAC delle torsioni dell’ arto inferiore. In tal caso, conoscendo i valori, al momento dell’ intervento si possono ripristinare tali valori utilizzando come reperi un filo di Kirschner posizionato lungo l’asse del collo femorale e un altro inserito a livello transcondiloideo prendendo come riferimento gli epicondili. In carenza o nell’ impossibilità tecnica di effettuare una TAC , prima di procedere alla osteosintesi definitiva valutare estemporaneamente ad arto flesso la simmetricità delle rotazioni dei due arti.